God Save The Queen. La regina ha abdicato, viva la regina. Ma la successione non è stata scandita da un senso di vuoto, come accade, di solito, quando lasciano i grandi, né è stata accolta da un’erede designata, bensì è avvenuta in un solenne passaggio di consegne, a cinque cerchi, dall’argento di Tokyo ad un quintetto, quello della Nazionale Femminile, argento a Parigi – un gruppo che lei stessa aveva contribuito a lanciare – e ad un intero movimento GAF, di cui è stata e resterà per sempre la madrina. Vanessa Ferrari, dopo l’oro di Alice D’Amato alla trave negli ultimi Giochi Estivi, non è più la ginnasta più vincente di sempre, è vero, ma, al momento, rimane la più grande. Perché un conto è entrare nella storia, come sono riuscite a fare le Fate in Francia, un altro è…essere la Storia. Vanny (con due “enne” come l’hanno sempre chiamata in famiglia) classe 1990, di madre bulgara (Galia) e papà lombardo (Giovanni), con i suoi due fratelli gemelli (Michele e Ivan), ha svoltato un’epoca, accompagnando l’artistica nel terzo Millennio, ed ha fagocitato tutto ciò che poteva. Anche ciò che al “Cannibale di Orzinuovi” gli volevano mandare di traverso, vuoi gli infortuni, vuoi le giurie, lei se lo ricucinava nel tempo, diventando la più longeva ginnasta italiana di sempre. All’età di trentaquattro anni, non ancora compiuti, il caporal maggiore dell’Esercito Italiano ha deciso di dire basta. La Ferrari appende il body al chiodo, consapevole che la gran parte dei risultati di oggi, la farfalla bresciana, li à conquistati ieri. “Quello che siete fummo, quello che siamo sarete”, sembra di leggere nell’epitaffio della sua carriera. L’Italdonne vince l’Europeo a Rimini, il 5 maggio scorso, bissando il successo di due anni fa a Monaco di Baviera? Vanessa lo fece a Volos, in Grecia, nel 2006, in compagnia di Lia Parolari, Monica Bergamelli, Federica Macrì e Carlotta Giovannini. Manila Esposito e Asia D’Amato conquistano il titolo continentale all around, rispettivamente, nel 2024 e nel 2022? Vanessa ci riuscì nel 2007, ad Amsterdam. Dopo quattro partecipazioni olimpiche (una in più rispetto a Bergamelli e Miranda Cicognani, altro primato tra le donne), a Bercy Vanessa non c’è potuta andare, per l’ennesimo risentimento fisico, stavolta ad un polpaccio, alla vigilia dei campionati italiani di Cuneo, però in quella arena, in Coppa del Mondo, lei dominò, diciassette anni prima, a parallele, trave e corpo libero. Sette titoli nazionali assoluti può vantarli soltanto lei; l’oro all around mondiale – preso ad Aarhus, in Danimarca, nell’anno in cui nascevano Esposito ed Angela Andreoli – ce l’ha in bacheca soltanto lei; l’argento iridato sul quadrato centrale? Solo lei ad Anversa nel 2013, dietro ad una certa Simone Biles, cresciuta nel mito della Ferrari. E record non finiscono qui. Tutto cominciò ad Almeria, in Spagna, quando la gente iniziava a familiarizzare con il nome Vanessa Ferrari. Lo scricciolo, neppure quindicenne, salì agli onori delle cronache ottenendo cinque ori e un argento, ai Giochi del Mediterraneo. E’ la prima in Italia ad eseguire lo Tsukahara avvitato, il cosiddetto “Silvas”, un doppio salto indietro con doppio avvitamento che non era mai riuscito a nessun’altra azzurra. Quel cognome così importante trovava una nuova unicità, non in un’automobile da corsa, né in uno spumante. Ferrari cominciava ad incarnare una ginnasta fenomenale, che l’anno seguente, in una piccola cittadina danese, conquisterà i cuori di tutti gli italiani, sulle note pucciniane del “Nessun Dorma”, cantate da Luciano Pavarotti. Un mix irresistibile che oltre alle avversarie stese tutti gli sportivi del Bel Paese, a cominciare dal Premier di allora, Romano Prodi, che si complimentò personalmente con il talento della Brixia. Non tardò molto che, per merito suo, a Brescia nascesse il PalAlgeco, l’agognata palestra, oggi Accademia Internazionale Femminile dei grandi attrezzi. Vanny guida la compagine del presidente Folco Donati, uno dei suoi fan più scatenati (memorabile l’esultanza in Danimarca con il tricolore in mano) ad una sequela incredibile di Scudetti, interrotta solo adesso dalla Ginnastica Civitavecchia. Epiche furono le sfide con la Gal Lissone di Carlotta Ferlito ed Elisa Meneghini, prima che il team brixiano prendesse il volo per oltre un decennio. Per una serie di eventi sfortunati e di appuntamenti mancati, come nel 2008, all’esordio olimpico, a Pechino, dove andò con un problema al piede, la vita agonistica della Ferrari è diventata una filosofia di vita. Un esempio, un modello assoluto. Un’icona pop, potremmo dire. L’attesa del piacere di un suo meritato approdo nell’Olimpo è diventata il piacere stesso. Sicuramente per i suoi tanti appassionati, che hanno visto prolungarne il cammino, un po’ meno per lei, che ha sofferto le pene dell’Inferno per conquistare il Paradiso. A Londra è terza in qualifica da sola e terza in finale al corpo libero pari merito con Alija Mustafina. Ma il regolamento del CIO, che non prevede l’ex aequo (mentre ai Mondiali capiterà pure che a Glasgow in quattro vincano l’oro alle parallele), scioglie il pareggio a vantaggio della russa, che aveva fatto cose meno difficili ma più pulite. Vanny versò lacrime amare, per poi tornare in palestra e mettere Rio de Janeiro nel mirino. In Brasile, nel 2016, è la giovane Amy Tinkler a lasciarla ai piedi del podio. E giù altre lacrime, prima che l’occhio della tigre si asciughi per guardare a Tokyo. A Montreal però, nel 2017, cade rovinosamente su una delle sue diagonali acrobatiche e si rompe di nuovo. Era già accaduto che finisse sotto i ferri, tra incidenti in gara e operazioni di pulizia. Le cicatrici erano ormai tatuaggi, compagne della celebre farfalla sulla caviglia. Il tendine di Achille negli almanacchi medici poteva essere ribattezzato “tendine di Vanessa“, quasi la ninfa Teti avesse immerso nelle acque dello Stige la Ferrari e non l’eroe greco, tenendola per il tallone. Uno stop del genere, a ventisette anni, con tre Olimpiadi alle spalle e mille medaglie appuntate al petto, avrebbero fermato un treno. Non la Leonessa di Brescia, che si rimise in pista, inseguendo una qualifica individuale, al corpo libero, contesa da Lara Mori. Il derby si concluderà in maniera salomonica, perché con il triste forfait di Giorgia Villa, la Ferrari andrà in squadra e la toscana volerà in Giappone da individualista. Prima però, non dimentichiamolo, ci fu il Covid e quando spostarono di un’ulteriore anno la rassegna olimpica, alla trentenne Ferrari sembrò davvero un sortilegio. Eppure con “Con te partirò” al corpo libero, Vanessa ci porta tutti lì dove era vietato andare, a causa della Pandemia, e in un palazzetto vuoto si prende, da sola, la medaglia che le mancava. Lo sceneggiatore di un film non avrebbe potuto immaginare un copione più assurdo. In qualifica era davanti anche alla Biles (14.166 contro 14.133 dell’americana). Poi Simone dà forfait per i famigerati “twisties”, e allora sembrava davvero che il trono d’orato si apra alla sua aspirante legittimata. Stavolta fu Jade Carey, invece, a rovinarle la festa con un’acrobatica spaziale, che francamente emozionò molto meno rispetto alla maturità artistica dell’italiana sulle note di Bocelli, ma almeno la piazza d’onore era la sua. Finalmente! E non importa se quell’unicum del palmares federale, così disperatamente inseguito, sia stato già pareggiato e, addirittura superato, appena tre anni dopo, perché la resilienza di Vanessa Ferrari, la sua forza di volontà, l’invincibile tenacia, il percorso più che il traguardo, rimarranno proverbiali e sono stati e saranno d’esempio per tanti atleti, non solo ginnasti. Accanto a lei c’è sempre stata una figura tecnica fondamentale: Enrico Casella, che l’ha scoperta e cresciuta a Brescia, portandola fino sul tetto del Mondo. Il loro sodalizio è forse uno dei più longevi della storia dello sport, non solo italiano. Il legame tra la ginnasta e il suo allenatore si è evoluto con la crescita della prima, trovando sempre nuovi equilibri, ma non potendo mai fare a meno l’una dell’altro. Chissà che non continui, in futuro, da colleghi. La Ferrari, che oggi, grazie anche al suo compagno Simone Caprioli, oltre che militare è imprenditrice – ha lanciato una sua linea di body di cui realizza lei stessa i disegni – e organizzatrice di stage formativi, non ha mai nascosto il desiderio di proseguire la sua attività in palestra, a bordo pedana. La Federazione Ginnastica d’Italia, che le è sempre stata vicina, anche nei momenti più bui, l’aspetta a braccia aperte. Intanto, il 23 novembre, a Genova, la FGI celebrerà Vanessa Ferrari al Grand Prix, in una manifestazione che tra medaglie da festeggiare e l’olimpionica da salutare – Vanny sarà la capitana di una delle due squadre in campo, nel nuovo format che vi racconteremo a breve – si preannuncia già come unica e irripetibile.
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