Il giorno dopo, per una volta, non lo era di una gara. Eppure, il giorno dopo la 98ª Assemblea Nazionale Ordinaria, celebratasi all’Hotel Hilton Rome Airport di Fiumicino, sabato scorso, porta con sé una sensazione quasi post-olimpica, odore d’Alloro, come quando abbiamo vissuto qualcosa di speciale, irripetibile, e il naufragar c’è dolce in questo mare. Non è stata una medaglia d’oro, o l’Inno di Mameli cantato a squarciagola, neppure le grida dagli spalti all’uscita del punteggio decisivo a lasciarci il sapore in bocca, buono, del “ciao mamma guarda come mi diverto“, al termine di un concerto di Jovanotti.
La gioia nasce, pensate un po’, da un’esperienza democratica che, nella politica generale, abbiamo perso, negli ultimi anni, lasciando, erroneamente, all’astensionismo il compito di descrivere la nostra insoddisfazione, il malcontento. L’allontanamento dei cittadini dalla politica trasforma la politica nell’infinita ombra della cittadinanza, un po’ come il sogno nell’Alexandros del Pascoli. Invece, politica viene da πόλις, che della Città Stato era il cuore, come ginnastica viene da γυμνός, nudo, come il re nella celebre fiaba di Hans Christian Andersen. È il popolo ad essere sovrano! e questo non va mai dimenticato, in democrazia. Pertanto, il popolo deve esprimere il proprio volere, finanche il malcontento, nelle urne, non restando a casa.
La libertà del volo che esprimono poi le discipline ginniche non è certo star sopra un albero, tanto per cantare il Signor G: La Libertà è Partecipazione. E ciò a cui abbiamo assistito il 1° marzo è stato il tripudio dell’afflato popolare, l’Election Day ginnico nel quale un corpo elettorale abituato al corpo libero – o comunque all’autodeterminazione attraverso l’attività motoria – si è mosso in massa per esprimere un giudizio. E ci mancherebbe altro, in uno sport soggettivo che fa delle giurie il proprio arbitro supremo.
Sugli attrezzi non c’erano i nostri adorati atleti ma i loro dirigenti e anche se, intorno a loro, a recinzione della sfida manageriale più alta del quadriennio, non si ergevano tribune da migliaia di spettatori, nel salone dei Cesari dell’Hilton, per i discorsi e le proclamazioni, e nel salone degli Imperatori, per le votazioni, sono passati 996 aventi diritto al voto, inclusi atleti e tecnici. Un’affluenza incredibile, con 863 affiliate sul totale di 1197, nonostante il candidato unico alla presidenza. I voti societari erano 4.552, su un massimo di 5.343, contro i 4.488 del 2020 e, soprattutto i 4.471 del 2016, nel duello, incerto fino all’ultimo per la successione di Riccardo Agabio, tra Gherardo Tecchi e Jury Chechi.
La gente, la nostra gente, sabato mattina, era in fila, ordinata, quasi in riga davanti ai tavoli degli ufficiali di gara, molti avranno avuto anche la tentazione di alzare il braccio, una volta chiamati in cabina. Il Barone De Coubertin, d’altra parte, aveva resuscitato i Giochi antichi all’insegna del primato della partecipazione sulla vittoria. Un principio perso nei “Tempi Moderni” di Chaplin, nella catena di montaggio dello show business che oggi fa disperare uno sportivo che arriva quarto, dimenticando che sul pianeta Terra ce ne sono solo tre meglio di lui. E il presidente Mattarella ha voluto recuperare il valore del semplice piazzamento, invitando al Quirinale le medaglie di legno di Parigi. Perché partecipare, appunto, non è star sopra un podio, o uno staggio, ma è mettersi in cammino, a mo’ di pellegrinaggio laico nell’anno Santo, e giungere in un albergo ai confini della Capitale per dire la propria, per farsi sentire. Al di là della vittoria, solo per poter raccontare, io c’ero!
“Si accendono le luci qui sul palco. Ma quanti amici ho intorno, che viene voglia di cantare”: non c’era Venditti, qualcuno al check-in ha visto Albano, in realtà gli amici di quella che, con un pizzico di retorica, chiamiamo spesso la famiglia della ginnastica, si sono ritrovati sotto il palco azzurro dell’assemblea elettiva, presieduta dal professor Matera, ad applaudire il cambiamento. E con l’occasione qualcuno chiedeva all’altro come organizzava una trasferta, o come si trovava con quella particolare attrezzatura, oppure si complimentavano a vicenda per l’inizio della stagione agonistica. Lo scambio di informazioni in un clima salottiero, senza le pressioni della competizione, in un ambiente familiare che creava senso di appartenenza – grazie anche ad un allestimento da Federazione TOP, quale siamo, curata dal futuro Segretario Generale Giandomenico Drago – ha finito per prendere il sopravvento sulle finalità statutarie dell’Assise. La πόλις è divenuta ἀγορά, la palestra è tornata gymnasium, dove alla cura del corpo si coniugava lo stimolo della mente, e il pranzo sui grandi tavoli tondi ha sublimato la convivialità. Fuori pioveva, dentro, invece, splendeva il sole “indoor” di un passaggio di consegne amichevole, ispirato a quel fair-play, purtroppo, sempre più raro, lontano dalle nostre pedane.
Tributati i giusti onori all’uscente, il popolo della FGI si è totalmente schierato al fianco del nuovo Presidente. Un figlio quarantenne di mamma Ginnastica, partorito dai cuboni dell’artistica maschile, a Padova, in una nuvola di magnesia. Andrea, il rampollo dei grandi attrezzi, è cresciuto negli ultimi otto anni tra i complicati ingranaggi della macchina federale (Spinoza diceva, “l’occasione arriva solo a colui che è ben preparato.”), e il dott. Facci ha studiato – eccome se ha studiato – in questi due mandati, collaborando con gli uffici – e la prova è quella punta di commozione, nel suo discorso, quando lì ha ringraziati – montando addirittura i campi gara, con la t-shirt dell’organizzazione di turno, mentre passava materassi e stringeva tiranti, spalla a spalla con i volontari.
La svolta era nell’aria e, c’è poco da fare, l’ex team manager GAM la incarnava alla perfezione. Se non bastasse il suo 98,70%, a testimoniarlo sono stati gli esiti delle votazioni consiliari, che vanno nella stessa identica direzione. Confermati solo quattro dei nove componenti dell’ultimo CDF: i due rappresentanti degli atleti, Michela Castoldi e Paolo Principi, l’ingegner Franco Mantero, presidente della commissione impianti e artefice di molti dei progetti tuttora in cantiere, e Francesco Musso. Le altre cinque sono new entry, o quasi, con altre due ex atlete, olimpioniche: Marta Pagnini in quota tecnici e Fabrizia D’Ottavio, la più votata dalle società. Tanta bella gioventù, insomma, temperata dalla giusta esperienza di figure territoriali come gli ex presidenti di regione Aldo Castaldo (Campania), Fabrizio Lupi (Toscana), Oreste De Faveri (Lombardia) e Giuseppe Raiola (Liguria), dirigenti che conoscono le istanze della base e sanno come ridurre le distanze dal vertice.
Per dare una rappresentazione ancora più plastica del risultato elettorale dei consiglieri basta calcolare la percentuale – anziché sui voti “validamente espressi” (27.548), che sono la somma dei voti che hanno ricevuto tutti i candidati – sui voti presenti (4.552), ossia sul massimo delle preferenze che avrebbero potuto ottenere i singoli candidati. Ne uscirebbe fuori la classifica che segue: D’Ottavio 85,63%, Castaldo 85,57%, Mantero 85,35%, Lupi 81,24%, Musso 73,15%, De Faveri 61,64%, Raiola 53,82%, Pentrella 28,84%, Torta 19,90%, Pasqualoni 13,64%, Leone 6,39%, Anglani 5,36% e Pitton 4,46%. A livello regionale, quasi un unicum nei 155 anni di storia, il Lazio non esprime un consigliere, mentre il candidato dalla Lombardia ottiene la sesta preferenza. Eppure sono le due aree territoriali ginnasticamente più grandi. Anche questo è un dato, da non sottovalutare, che fotografa la spinta centrifuga, geografica e culturale, di una base che reclama maggiore attenzione alle periferie e per le minoranze.
In fondo, si potrebbe obiettare, sono solo numeri, come quelli di difficoltà, esecuzione, artistico, che però esprimono – attenzione! – un gradimento oggettivo, uno share altissimo, nei confronti di una squadra di governo che, al di là dell’anagrafe – quella sì davvero soggettiva – è giovane per comunicazione, energie, sensibilità, e soprattutto per una POV – l’acronimo di “Point of View”, che spopola su Instagram – più prossima agli atleti e alle società.
Insomma, “quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuole esser lieto, sia!”.
Di doman c’è più certezza.
(L’editoriale del Direttore, David Ciaralli)
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